Crisi economica e Covid stanno addensando una fitta nebbia sui diritti di chi lavora. Avere un posto di lavoro viene considerata una fortuna. Sottopagato e super sfruttato? Meglio di niente. Anzi, chi lavora per pochi euro all’ora dovrebbe anche dire grazie.
Stiamo parlando di grandi numeri: nella provincia di Arezzo abbiamo circa 10mila imprese nel settore moda che occupano – dato 2019 – 37.400 lavoratori. Le aziende che hanno meno di 3 addetti sono 7.300. I numeri del 2021 sono negativi: nel primo trimestre le imprese del settore cessate sono state 630 mentre quelle iscritte per la prima volta 556. Il saldo è quindi negativo.
E’ una difficile lotta per la sopravvivenza che conosciamo e comprendiamo. Così come conosciamo bene che la gran parte delle imprese lavora in regola e rispetta leggi e contratti. Ma non possiamo fare a meno di notare che questa lotta per la sopravvivenza rischia di lasciare sul terreno soprattutto posti e diritti nel lavoro. Il settore moda, in particolare in Valdarno, è legato alla commesse delle grandi griffe. Legato fino quasi al soffocamento perché è il committente a dettare le regole nella logica del “prendere o lasciare”.
E per “prendere” commesse per sé, non poche imprese “lasciano” i diritti dei lavoratori. Per diritti intendiamo la regolare corresponsione del salario contrattuale, il rispetto pieno dei contratti e quindi dagli orari alle ferie, le norme di sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro.
Non si esce dalla crisi tornando a logiche di sfruttamento. La riduzione dei costi sulla pelle dei lavoratori non porterà le imprese lontano perché da qualche parte nel mondo ci sarà sempre qualcuno che potrà fare prezzi più bassi. L’unica strada percorribile è quella della qualità, dell’innovazione, del rispetto delle leggi, dei contratti e delle regole.
Dobbiamo dirlo con forza. Anche nella nostra provincia e quindi pure in Valdarno, spesso le norme contrattuali e di legge vengono aggirate se non eluse del tutto. Contratti di apprendistato ripetuti più volte modificando la mansione e ripartendo dal principio con le percentuali della paga; uscire dal settore industria e creare più aziende artigiane continuando negli stessi locali, con gli stessi dipendenti e gli stessi macchinari per pagare meno contributi e abbassare il salario; portare i dipendenti alla disperazione emotiva per farli dimettere e molto altro ancora. La cosa vergognosa è che molte di queste realtà lavorano per importanti griffe che intendiamo iniziare a chiamare in causa affinché si assumano le loro responsabilità. Se non lo faranno, non esiteremo a uscire pubblicamente facendo nomi (chi viola le regole) e cognomi (il committente).
Non sono in gioco solo i diritti del lavoratori ma soprattutto quello del nostro sistema economico e della nostra comunità.
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