“Spero che nessuno si dichiari sorpreso da quanto accaduto a Marciano – afferma Stefania Teoni, Segretaria del Sunia Cgil. La nostra denuncia è purtroppo vecchia e, peggio ancora, inascoltata: senza interventi corposi e rapidi, la fine delle case popolari è questioni di pochi anni. Quanto avvenuto nel plesso di Marciano conferma questa previsione e segue le recenti proteste di altri plessi che rivendicano un’adeguata gestione della manutenzione straordinaria”.
Il Sunia ribadisce, quindi, la necessità di finanziamenti adeguati e certi che garantiscano un piano quinquennale. “Più volte – ricorda Teoni – abbiamo sollecitato le istituzioni a farsi carico del problema. Pensavamo che di fronte a questioni di questo tipo fosse possibile unire le forze per rivendicare. Se necessario, chiedendo un incontro in Prefettura per sottolineare le esigenze. Come sindacato abbiamo presentato al Senato 45.000 migliaia di firme a sostegno di una richiesta minima per dare dignità agli abitanti delle case popolari. Ma riteniamo che chiedere di mantenere in vita le case popolari non abbia colore politico e che i Comuni, tutti, abbiano il dovere di spingere in questa direzione. Se tutte le parti concordano, perché non pensare a trovare un percorso comune di rivendicazione?” Secondo il Sunia, un tema chiave è il rapporto tra le amministrazioni pubbliche, in assenza del quale sarebbero vanificati anche eventuali investimenti. “La legge regionale sembra porre una barriera netta tra Comuni e ente gestore. Da oltre 5 anni, sembra che sia in corso una sua rivisitazione. Ci auguriamo che siano modifiche sostanziose tali da superare quello che riteniamo il nodo principale, e si arrivi quindi a una organizzazione che responsabilizzi pienamente tutti gli attori istituzionali. La Regione, che non ha la proprietà degli immobili, indica le priorità e le regole di gestione; poi si dimentica di fare, in 5 anni, gli adempimenti promessi entro 6 mesi. I singoli Comuni, che sono i proprietari degli immobili, gestiscono i bandi e l’assegnazione degli alloggi, poi hanno finito e passano la gestione ad una società per azioni costituita dai comuni. Tra LODE (organismo rappresentativo dei comuni) e la società è stipulata una convenzione, il contratto di servizio, grazie al quale, dietro il pagamento di un canone concessorio (peraltro escluso dalla legge regionale), viene scaricata la gestione di un patrimonio degradato. Non risulta neppure che i comuni esercitino il diritto/dovere previsto dalla legge regionale: quello di controllo nonché di verifica del grado di soddisfazione dell’utenza”.
Si ritiene – si chiede il Sunia – che l’ente gestore possa gestire la manutenzione ordinaria e straordinaria e soddisfare le richieste di 3.121 alloggi in pessimo stato sparsi tra tutti i comuni della provincia? Tutti gli attori sono consapevoli che non è possibile. Una presenza attiva dei comuni, anche solo tecnica e di controllo, nelle fasi di esecuzione di lavori di manutenzione favorirebbe una gestione corretta dei lavori stessi; questioni, questa, che spesso gli assegnatari lamentano.
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