13 anni e 2 mesi di reclusione per l’ex sindaco di Riace, che dice: “Oggi per me finisce tutto”. Massafra (Cgil): “Bisogna leggere le sentenze, ma è una notizia assurda. In un Paese in cui per legge un migrante non può essere regolare, la sua dignità può essere garantita solo dall’umanità di uomini per bene”.
L’ex sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione nel processo “Xenia” dal Tribunale di Locri per presunti illeciti nella gestione dei migranti. I reati contestati erano di associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La procura ha ipotizzato l’esistenza di un sistema criminale dietro quello che nel mondo era conosciuto come ‘paese dell’accoglienza’
Lucano era stato già arrestato il 2 settembre 2016 nell’ambito di un’inchiesta della Guardia di Finanza. La sentenza di oggi ( 30 settembre) condanna addirittura Lucano a quasi il doppio degli anni di reclusione che erano stati chiesti dalla pubblica accusa (7 anni e 11 mesi). Nel chiedere la condanna, il pubblico ministero di Locri, Michele Permunian aveva affermato che “a Riace comandava Lucano. Era lui il dominus assoluto, la vera finalità dei progetti di accoglienza a Riace era creare determinati sistemi clientelari. Lucano ha fatto tutto questo per un tornaconto politico-elettorale e lo si evince da diverse intercettazioni. Contava voti e persone. E chi non garantiva sostegno veniva allontanato”.
Le indagini erano state avviate in merito alla gestione dei finanziamenti erogati al Comune di Riace, per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico. Già dall’ottobre del 2017 Lucano era iscritto nel registro degli indagati. Nel corso dell’inchiesta, secondo gli inquirenti, erano emerse irregolarità che il primo cittadino avrebbe commesso nell’organizzare “matrimoni di convenienza” tra cittadini del posto e donne straniere per favorire la loro permanenza sul territorio italiano. L’ex sindaco era stato sottoposto ai già domiciliari il 2 ottobre 2018 dai finanzieri del gruppo di Locri che avevano eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale della città calabrese con cui si disponeva anche il divieto di dimora per la sua compagna, Tesfahun Lemlem.
Per quanto riguarda la gestione dei flussi di denaro pubblico destinati alla gestione dell’accoglienza dei migranti, il Gip, pur rilevando una “tutt’altro che trasparente gestione, da parte del Comune di Riace e dei vari enti attuatori”, delle risorse erogate per l’esecuzione dei progetti Sprar e Cas, e parlando di “estrema superficialità” e “diffuso malcostume”, ma aveva negato la contestazione di reati specifici.
“Bisogna leggere le sentenze, bisogna conoscere i dispositivi, ma la notizia che Mimmo Lucano sia stato condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione per aver messo in piedi un ‘sistema criminale’ e per aver favorito l’immigrazione clandestina, ha dell’incredibile”, è il primo commento di Giuseppe Massafra, segretario confederale della Cgil.
“Lucano – continua – costruì negli anni del suo mandato la più grande esperienza di accoglienza diffusa e uno dei più significativi progetto d’inclusione. La sua ‘città dell’accoglienza’ è stata anche una delle esperienze più interessanti di ripopolamento di un’area ormai destinata alla completa desertificazione”. “La Procura di Locri dice che ‘si è cercato di giustificare un fine nobile con una commissione di reati’. Certo, perché in un Paese in cui per legge un migrante non può essere regolare, la sua dignità può essere garantita solo dalla umanità di uomini per bene”.
“È un momento difficile, mi aspettavo una formula ampia di assoluzione. Non mi aspettavo questa sentenza”. Questo lo sfogo a caldo di Lucano affidato al quotidiano calabrese LaCnews24.it: “Io non ho niente, mia moglie fa un lavoro umile pulendo le case delle persone. Mi sono schierato dalla parte degli umili, ho immaginato di partecipare al riscatto della mia terra. Oggi però per me finisce tutto, è stata pesantissima. Non so se per i delitti di mafia ci sono pene simili. Per me è un momento difficile, non so cosa farò”.
Foto: Marco Merlini
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