Non si parla d’altro fin dai tempi della campagna elettorale che ha accompagnato le elezioni del 4 marzo dello scorso anno, uno dei capisaldi del Movimento 5 Stelle nella contesa elettorale e tra le più attese promesse fatte all’elettorato. Oggi il Reddito di Cittadinanza è realtà. Da marzo arriveranno le prime richieste e ad aprile ci saranno i primi beneficiari, secondo il timing previsto dal governo.
Ma siamo davvero pronti perché questa ‘macchina del benessere’ si metta in moto? Chi si occuperà di garantire il Reddito di Cittadinanza? Quali sono i lavoratori che esamineranno le domande e si prenderanno carico delle persone? E come si trasformerà il loro lavoro ordinario? Ogni qualvolta si parla di Reddito di Cittadinanza, la lente d’ingrandimento si rivolge sempre ai suoi beneficiari. Ma assumere un punto di vista diverso è fondamentale per la comprensione del fenomeno: quello dei lavoratori che permetteranno alla macchina di mettersi in moto. Ed è proprio soffermando lo sguardo su di loro che ci si accorge di quanto tutto sia avvenuto in tempi talmente rapidi da rischiare un grave caos organizzativo, fuori controllo. Vediamo perché.
Un ruolo centrale sarà quello assunto dagli Assistenti sociali. Infatti a tutti quelli che faranno domanda per il Reddito di Cittadinanza e che si riterrà non abbiano i requisiti minimi per rientrare in un piano di inserimento nel mondo del lavoro, spetterà il cosiddetto Patto per l’Inclusione Sociale, l’erede del Reddito di Inclusione (Rei). Gli assistenti sociali dovranno occuparsi di queste persone. Ma allora, che cosa cambia?
Il numero di beneficiari
Tanto per cominciare, il carico di lavoro. Infatti, secondo i dati forniti dal governo, con il Rei nel 2018 gli assistenti sociali hanno avuto a che fare con una platea di beneficiari di 462 mila nuclei familiari (1,3 milioni di persone). Ad oggi non abbiamo una cifra esatta di quanti saranno destinati al Patto per l’inclusione, ma partiamo da una stima di beneficiari del Reddito di Cittadinanza che sembrerebbe aggirarsi intorno a 1,4 milioni di nuclei familiari (3,9 milioni di persone), sempre secondo i dati del governo. Ci sono anche altre quantificazioni fatte riguardo la stima della platea interessata e tutte ci mostrano un quadro nel quale il numero di beneficiari certamente andrà ad aumentare. Dunque gli assistenti sociali avranno a che fare presumibilmente con numeri molto più elevati. Questo perché se per accedere al Rei fino ad oggi era necessario avere un Isee non superiore a 6 mila euro l’anno per nucleo familiare, ad oggi il Reddito di Cittadinanza è esteso alle famiglie con un reddito fino a 9.300 euro l’anno.
Pensionamenti e nuove assunzioni
Ma quello del carico di lavoro non è il solo problema. Infatti a fronte di un aumento della mole di lavoro, il numero di assistenti sociali prevedibilmente diminuirà per via dei pensionamenti garantiti da quota 100. Uno studio della Funzione Pubblica Cgil stima intorno a 150 mila il numero di pensionamenti dei dipendenti pubblici. Gli assistenti sociali saranno tra i più colpiti da questa ‘emigrazione’, in quanto negli anni non hanno avuto grosse assunzioni nel settore e l’età media del personale è molto alta. D’altro canto, questa serie di pensionamenti non sarà ricalibrata da nuove assunzioni. Infatti non sono previsti per gli assistenti sociali degli investimenti destinati all’assunzione di nuovo personale. I Comuni avranno solo la possibilità di utilizzare una quota del fondo di povertà (dalla Legge di Povertà 2018) per delle assunzioni a tempo determinato, e quindi non strutturali.
Parola ai lavoratori
Tutti questi dati ci forniscono il quadro di una rete dei servizi sociali allo stremo delle forze, a causa del troppo carico di lavoro e del personale a disposizione che non è sufficiente per stare dietro a tutte le questioni. Da qui i casi di burn-out e di malattia da stress da lavoro correlato. Talvolta, purtroppo, possono verificarsi anche casi come quello accaduto nei giorni scorsi a Palermo, dove una ragazza di 19 anni ha aggredito un’assistente sociale e due vigili urbani, lamentando un trattamento non adeguato. Questo è quello che può – e non deve – accadere quanto il carico di lavoro è troppo e il personale troppo poco. Abbiamo parlato con Deborah, Laura e Dario, tre assistenti sociali che operano nel settore da anni e ci siamo fatti raccontare da loro che aria si respira nei servizi sociali e come si stanno preparando alla nuova ondata di lavoro generata dal Reddito di Cittadinanza.
Deborah, 38 anni, da Cassano D’Adda (Milano). Assistente sociale da 15 anni.
“I nostri servizi sono già ordinariamente in sofferenza. I tempi che ci sono stati dati per introdurre i cambiamenti che porterà il reddito di Cittadinanza sono troppo stretti, non ci permettono di organizzarci come dovremmo. Quello che nasce come intento di lotta alla povertà, rischia di essere vanificato perché non si è saputo aspettare. Inoltre questo provvedimento prevede che i soldi vengano dati direttamente alle famiglie. A noi dunque non spetta un ruolo di progettazione, bensì di mero controllo. In questo modo viene snaturata la nostra professionalità, che al contrario è di accompagnamento”.
Dario, 38 anni, da Napoli. Assistente sociale da 10 anni.
“A Napoli di Reddito di Cittadinanza non se ne parla proprio. Non sono state diffuse informazioni e ancora non sappiamo chi si occuperà di cosa. Siamo drammaticamente sotto organico e la situazione è destinata a peggiorare perché a breve i nostri centri si svuoteranno di tutte le assunzioni fatte negli anni ’80. E pensare che siamo appena riusciti ad ottenere delle assunzioni che erano previste per il 2016. È tutto troppo lento, non siamo pronti per questo cambiamento”.
Laura, 49 anni, da Roma. Assistente sociale da 25 anni.
“Sarò molto onesta, sul Reddito di Cittadinanza non sappiamo proprio nulla. Non ci è ancora stato comunicato nulla, non so come ci organizzeremo. L’unica cosa che posso dire con certezza è che la nostra situazione lavorativa è critica, i servizi sono già allo stremo così come sono, sono molto malmessi. Continuiamo a costruire sulla sabbia, non sulla roccia. Stiamo costruendo sulle criticità, non su un terreno solido.
Qui ci si domanda chi si occuperà di reddito di cittadinanza dal momento che noi saremo presi per almeno un anno ancora con le pratiche del Rei. Chi ci lavorerà se non arriva nuovo personale?
Non mi stupisce l’aggressione ad una mia collega avvenuta a Palermo. È chiaro che le aggressioni sono sempre da condannare. Ma mi rendo conto che il cittadino che vive una situazione di fragilità, ha noi come unico referente, siamo la sola figura che riesce a incontrare, con cui riesce a confrontarsi. E se neanche noi riusciamo a stargli dietro a causa del troppo carico di lavoro, episodi del genere ce ne saranno ancora. Siamo allo stremo”.
La posizione di Cgil, Cisl, Uil:
Quella del Reddito di Cittadinanza è una misura che ha generato forti aspettative in quella parte di popolazione – sempre più ampia – che non possiede un reddito dignitoso. La nuova misura ha il duplice scopo di contrastare la povertà e di garantire il diritto al lavoro. Ma i due obiettivi, per quanto possano sembrare compenetrarsi, hanno bisogno di strumenti diversi per il loro raggiungimento. Una sola misura rischia di risultare inefficace. Il Reddito di cittadinanza, per ovviare, si è suddiviso in due percorsi distinti: Patto per il Lavoro e Patto per l’Inclusione Sociale (che va a sostituire il precedente Reddito di Inclusione). Ma i criteri che porteranno alla suddivisione dei beneficiari tra i due percorsi previsti – hanno fatto sapere Cgil, Cisl e Uil nell’audizione in Senato dello scorso 5 febbraio – sono prevalentemente quelli di età e situazione occupazionale, criteri evidentemente troppo rigidi che rischiano di essere fuorvianti e di generare un rimpallo tra i due percorsi. Rimane necessario il coinvolgimento degli assistenti sociali nel contrasto alla povertà, per questo sarebbe auspicabile l’incremento del Fondo per la lotta alla povertà per potenziare i servizi sociali.
Questo il quadro complessivo fornito dalle lavoratrici e dai lavoratori dei servizi sociali, che a breve dovranno far fronte all’introduzione del Reddito di Cittadinanza. Un quadro che ci restituisce l’immagine di servizi sociali indeboliti, svuotati di personale e impreparati al cambiamento drastico che verrà nell’arco di appena un mese. “I servizi sociali gestiti dai comuni non possono essere l’anello debole dell’amministrazione municipale – fa sapere Federico Bozzanca, della Funzione Pubblica Cgil– dobbiamo avere la forza di riorganizzarli, dando centralità alla figura degli assistenti sociali; e per far questo occorre superare i vincoli che ci impediscono di valorizzare ed assumere nuovo personale”.
Fonte FP CGIL
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