E’ ormai diventata una questione di tendenza annunciare, periodicamente, segnali di ripresa del Paese e quindi anche di questa Provincia.
Le nostre Federazioni e spesso il sottoscritto hanno cercato, anche con dati, di far comprendere di volta in volta quale è la situazione che riscontriamo nel mondo del lavoro: purtroppo non ci sono chiari segnali di ripresa, tutto qui!
Quella preannunciata con enfasi nei giorni scorsi di un 1,4% d’incremento occupazionale oggi non può certo essere interpetrato come un “balzo in avanti” e nemmeno come un chiaro segno di contro-tendenza alla crisi dei nostri tessuti produttivi e commerciali.
Insistendo su questa tendenza si rischia di scadere nella vera e propria propaganda che reputo dannosa, poichè una società seria se non riesce a prendere atto, coscienza e non riesce ad ammettere veramente lo stato delle cose non può, collettivamente, trovare il modo giusto per uscire fuori dalle difficoltà. Perchè per uscire “fuori dai guai” è necessario fare scelte, e oggi nella situazione in cui siamo servono, urgono scelte coraggiose.
Ribadire, da parte della CGIL, questa posizione non è voler fare i “gufi”, non è voler sempre vedere il bicchiere mezzo vuoto, ma è senso di responsabilità per chi questa situazione la subisce e si rivolge a noi.
Mi sembra chiaro che dalla crisi non si esce con spot, ammiccamenti e uscite stampa per “iniettare” fiducia, noi riteniamo che la fiducia debba essere conseguenza del aver fatto cose concrete ed utili. Invece ci scontriamo sempre più spesso con scelte apparentemente fragorose che tendono ad aumentare le differenze e a dover fare i conti con sacche di povertà sempre più ampie. Scuola, sanità, servizi pubblici, si taglia il welfare e si pretende di caricarlo sulle spalle di lavoratori e aziende (virtuose) casomai chiedendo lavoro di supplenza al volontariato e all’associazionismo ( azioni sulle quale i sindacati devono ben vigilare) mettendo avanti la logica della carità, dei grandi valori che però a nostro avviso non possono essere sostitutivi a funzioni così essenziali per uno Stato degno di questo nome.
Per non parlare di chiusure di innumerevoli aziende, tagli degli ammortizzatori sociali, disoccupati ed inoccupati, precari e sopratutto tantissima evasione fiscale imporrebbero scelte senza dubbio serie e corrette che, senza altrettanto dubbio, un sindacato da solo non può fare, perchè il Sindacato, pur con tutti i suoi difetti e limiti, non fa leggi e non decreta niente, al massimo protesta e propone – ma per questo deve essere ascoltato – o contratta quando vi sono condizioni. E’ rappresentanza pura che, se non ascoltata o peggio massacrata, non solo rischia di servire sempre meno ma senza dubbio impoverisce ancora di più la nostra fragile democrazia. In questo panorama di crisi, non solo economica, è stato “inventato” il jobs act a suon di decreti e siamo ancora ad aspettare la spiegazione evidente di quali sono quei punti così importanti in quella nuova normativa, che tanto sta cambiando il mondo del lavoro, per la ripresa.
Per esempio, se prendiamo i dati degli assetti occupazionali della nostra Provincia divisa per attività commerciali balza agli occhi un aumento esponenziale dei “lavoratori” impiegati nel settore delle attività svolte da famiglie (codice ateco) che dal 2012 ad oggi sono raddoppiate da 1691 (di cui 1100 extra ue e 88 UE) a 2479 del 2014 (di cui 1665 extra UE e 84 UE) al 2603 del 2015 (di cui 1750 extra UE e 83 UE). Dati che ci dicono che l’attivita di cura è in capo alle famiglie, che da sole lo affrontano. Per non parlare delle attività non determinate che da 4795 del 2012, sono passate a 6812 del 2014 e a 7652 del 2015. A nostro avviso questa tendenza potrebbe essere legata all’entrata in vigore del “jobs act”, in particolare all”innalzamento del limite di reddito per il lavoro accessorio (cd voucher) portato dal Jobs act a 7.000 euro nel corso di un anno solare (annualmente rivalutati) ampliandone l’uso in tutti i settori produttivi. Forme contrattuali senza tutela e senza ammortizzatori che vanno a sostituire vera e propria manodopera da lavoro dipendente.
Ma la situazione è generale, leggendo dati Inail sui lavoratori assicurati equivalenti, dati sono in via di consolidamento, ma sono comunque significativi e soprattutto ci sembra indicativi per aprire una rilfessione se effettivamente ripresa c’è. Perchè quello che si evince anche negli altri settori, per così dire tradizionali quali “moda” e “orafo”, è una vera e propria stagnazione: ancora molte interessate da cassa integrazione e altre messe in cima ad un baratro come per esempio Cantarelli o Cose di Lana. Per la moda, tolta Prada per il tipo di mercato che esprime, siamo di fronte a uno scenario drammatico. Sull’orafo in particolare pesa la brutta situazione che si riversa nei mercati arabi, mercati tradizionalmente predisposti al manufatto in oro. Nel settore moda oro assieme all’arredamento si sono persi decine di centinaia di posti di lavoro e a oggi non abbiamo segnale alcuno di contro tendenza. D’altronde, se l’Italia da 2° potenza europea nel manifatturiero dal 2008 è divenuta 8° un motivo ci sarà o no? Per non parlare del turismo (alberghi e ristorazione) ha l’occupazione in calo, solo l’agro alimentare tiene, ma ci si può basare l’intero sistema paese o la lettura di una ripresa effettiva? A nostro avviso no. Ergo: non si può parlare di segnali di ripresa. Decisamente no!
Altro non poteva dire a riguardo il Presidente della Camera di Commercio di Arezzo: non si può parlare di chiari segnali di ripresa dato che le nostre aziende sono reduci da un bombardamento simile ad un post-guerra. Il resto ce lo mette il questo Governo, che non solo non è stato in condizione di fare scelte coraggiose, ma ha scelto di non farle perchè preferisce il galleggiamento o “reverenziare” i poteri forti, come la finanza, i cui interessi sono ben lontani dal bene del Paese. Non lo dice il sottoscritto, semplice segretario di Provincia che può leggere e riportare la situazione che giorno dopo giorno tocca nel proprio territorio, ma che conferma quello che la nostra Segretaria Generale in più occasioni ha ribadito che «Non si esce dalla crisi punendo il lavoro. La Costituzione dice che bisogna stare dalla parte di chi è più debole e non dare vantaggi a chi è più forte. Forse qualcuno pensa che l’uguaglianza sia una parola antica, per noi non lo è».
Alessandro Mugnai
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